Crocevia di genti

Le api e il generale

La strada ha sempre avuto una grande importanza nella vita di Cadenazzo. Situato su due frequentati assi stradali, quello che da Bellinzona porta a Magadino e quello sul più ampio collegamento nord-sud del Monte Ceneri, il paese già nel dodicesimo secolo contava un “hospitale” per il ricovero di malati e pellegrini. Nei secoli successivi, ai viandanti che affrontavano il passo del Ceneri era offerto alloggio in alberghi e osterie ed erano presenti stallazzi per il cambio dei cavalli. Nel Medioevo è infatti attestata la notizia di un “hospitalis de Cadenatio”, con annessa “monacharia”: esso offriva ricovero ai viaggiatori di passaggio sul Ceneri. Sul sedime dell’ex ospizio, in via Camoghé, sorge il complesso attuale, conosciuto come casa Olgiati, che ospita l’Antica sosta dei viandanti. In parte risalente al Quattrocento, l’edificio subì successivamente alcune modifiche e l’aggiunta di una stalla, diventando azienda agricola. 

La parte della struttura risalente al XV secolo appare come la più antica del paese: al suo interno sono ancora visibili alcuni affreschi d’epoca e un pozzo per l’acqua profondo 23 metri. 

A testimoniare il fatto che Cadenazzo sia stato nei secoli luogo di passaggio di pellegrini e di viandanti ma anche di truppe militari, vi è la leggenda legata al transito, nel settembre 1799, dell’esercito russo comandato dal generale Suwaroff, forte di circa 20mila uomini. 

Secondo quanto riportato da Bice Caccia nel suo libro “Cadenazzo alla ricerca della sua identità”, per far desistere il comandante russo dal fermarsi in paese, durante il passaggio delle truppe, i residenti crearono un grande fumo accendendo un falò di sterpaglie. Ciò nonostante i cosacchi avrebbero comunque prelevato alcuni maiali, lasciando in cambio una cassa con all’interno delle api. Secondo la leggenda, sino ad allora questi insetti sarebbero stati sconosciuti a Cadenazzo e sarebbero stati un “regalo” dei soldati di Suwaroff.

Origine di un nome

È affidata sempre alla tradizione popolare la tesi secondo la quale il nome di Cadenazzo deriverebbe dalle catene con cui si assicuravano i barconi che, dal Lago Maggiore, risalivano il Ticino. Il fiume prima dell’incanalamento, tra fine XIX e inizio XX secolo, serpeggiava infatti dalla riva destra alla sinistra ed era una via di comunicazione utilizzata per i collegamenti con Locarno. 

Secondo un’analisi storico-geografica, come riporta Bice Caccia, il nome di Cadenazzo potrebbe invece derivare dall’essere stato una “dogana” soggetta a decreti cosiddetti “catenaccio”, che impedivano ai cittadini di approvvigionarsi dei generi di privativa, di monopolio, prima che fosse decisa la tariffa doganale. 

Per altri nella radice del nome vi è il richiamo alla sua posizione strategica e quindi l’essere “catena”, “chiavistello”, cioè barriera, cancello, chiusura, sempre riferito alla sua ubicazione geografica. La storia del paese è infatti strettamente collegata all’essere luogo di passaggio tra Sopraceneri e Sottoceneri, tra Bellinzona e il porto di Magadino.

Pietre, betulle e nuova aggregazione

Oggi, spiega Francesca Rosini, la progressiva evoluzione della rete stradale ha creato i circostanti spazi residuali oggetto di un intervento di riqualificazione. L’obiettivo è di restituire questi spazi passivi alla collettività, dotandoli di senso e di nuova funzione, rappresentando simbolicamente la storia e gli elementi che hanno determinato l’aspetto attuale del territorio. Il tema dell’erosione dei corsi d’acqua, che con il loro fluire hanno modellato l’ambiente circostante, è rappresentato dalle colline e dai massi. Provenienti dal cantiere AlpTransit e di dimensioni decrescenti, questi ultimi vogliono rappresentare i detriti sedimentari che formano i coni di deiezione, sui quali sorgono tutti i comuni che si affacciano sul piano di Magadino. Un ulteriore tema messo in luce è la trasformazione subita dal piano di Magadino, da area prevalentemente paludosa e insana a fertile superficie agricola. 

Le piante scelte raccontano sincronicamente quest’evoluzione: le canne evocano il passato palustre, mentre orzo e frumento testimoniano il presente agricolo. Le betulle, prime pioniere dopo l’ultima glaciazione, accompagnano invece il riale, invitando ad un rapporto più diretto con l’acqua, relazione a lungo negata dalla strada. Si vuole così dare un nuovo senso a questo spazio, in grado finalmente di esprimere tutto il suo potenziale narrativo e aggregativo.